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PREMIO INFERMIERI: CARMELA

Leggiamo ora insieme la testimonianza di chi, quotidianamente, incontra nel proprio lavoro tante persone che hanno patologie reumatiche.

?Un ricordo 'scomodo' e doloroso diventa occasione di riflessione e rilancio sulla professione infermieristica: con lucidità l'autrice interroga se stessa e il proprio ruolo di infermiera, regalandoci un testo che ci invita al pensiero critico per il futuro di questa cruciale figura professionale. 

Carissimi Amici ALOMAR il mese appena trascorso, il 4 ottobre, ho avuto il piacere di condividere una giornata con voi in piazza Lombardia e durante la tavola rotonda, mi sono sentita dire, che per espletare la professione di infermiere, non basta più la sola preparazione accademica. Per assistere e guidare un malato reumatico, sono necessarie: motivazione profonda nel prendersi cura di un paziente complesso; preparazione complementare, post laurea. Queste mie affermazioni, nascono da lunghi anni passati accanto a chi soffre, prima come infermiera e poi come Coordinatrice e soprattutto a causa di una esperienza di vita molto dolorosa, che dentro di me ha lasciato il segno. Nel mese di luglio del 1992, pochi giorni dopo l'abilitazione a funzioni direttive, sono rientrata al lavoro. A quel tempo, la Reumatologia Pediatrica era accorpata alla I Divisione e quindi si assistevano contemporaneamente, i piccoli pazienti e gli adulti. In quell'occasione, ho incontrato una bambina della quale non ricordo più il nome, ma ricordo benissimo il momento drammatico che ho trascorso assieme a lei.

Nel primo pomeriggio, la piccola ha cominciato a lamentare mal di pancia e successivamente vomito scuro come fosse presente cioccolata. Ho chiesto alla mamma cosa avesse mangiato a pranzo e nelle ore precedenti e siccome la situazione mi sembrava ben più complessa di quello che appariva, ho chiamato immediatamente il reumatologo di riferimento, il quale dopo una visita accurata, mi ha chiesto di eseguire con urgenza gli esami ematici. In quel momento ho privilegiato la precisione dei gesti e l'efficienza infermieristica nell'eseguire quanto prescritto dal medico, affinchè potesse confermare la diagnosi. Non ho prestato invece la stessa solerzia e delicatezza, per alleviare la paura e l'angoscia della piccola paziente. Dopo il ritiro dei referti, il reumatologo, ha ritenuto opportuno per la sicurezza della bambina, trasferirla presso un ospedale vicino, in una Unità di terapia intensiva.

In attesa del trasferimento, ho più volte punto le braccia e le mani della bambina, sia per effettuare gli esami ematici, sia per eseguire la terapia endovena. Il giorno successivo un sabato, non ero di turno. Dentro di me sentivo per la prima volta l'urgenza e il desiderio, di sapere che la mia piccola paziente avesse trascorso una notte positiva, nonostante la gravità della sera precedente. Mi sono alzata di buon'ora e mi sono avviata alla clinica De Marchi. Là, ho trovato i genitori e la piccola attaccata al monitor che appena mi ha visto, ha avuto una manifestazione di terrore sul suo piccolo volto. Dopo aver parlato con i genitori e aver salutato la bambina, mi sono avviata sulla strada di casa. Dentro di me due emozioni contrastanti: la gioia perchè la bambina non correva pericolo, ma anche il dolore perchè avevo procurato 'paura e dolore' ad un essere indifeso. Come ciò non bastasse, a distanza di molti mesi dall'evento citato prima, dopo il lavoro mi accingevo a fare una passeggiata verso piazza Duomo e in corso di Porta Romana, all'altezza di piazza Missori chi incontro?

La bambina in braccio al suo papà con un bel cono in mano, serena e gioiosa fintanto che non mi ha vista. Nel momento in cui i nostri sguardi si sono incrociati, il gelato che stringeva fra le mani le è scappato ed ha cercato protezione immediata accoccolandosi meglio tra le braccia del padre. A questa visione, il mio morale ha subito un duro colpo. Ho capito finalmente, che la sola preparazione meramente tecnica non basta. Prendersi cura di un malato reumatico, richiede non solo attitudine, ma anche una buona dose di 'tenerezza'. A differenza di altre tipologie di malati, la cronicità delle patologie reumatiche, crea un rapporto profondo di fiducia e sinergia fra chi cura e assite e chi riceve le cure. Credo fermamente che differenziare il 'prendersi cura di chi soffre' sia oggigiorno una necessità e nelle Unità Operative i professionisti dell'assistenza, non possono capitare a caso. Devono essere motivati, preparati e supportati con diligenza dal SITRA, l'ufficio Formazione, l'associazione ALOMAR, i Direttori delle UO di Reumatologia clinica e chirurgica. Corsi di Perfezionamento e Master in Reumatologia sono auspicabili, tutto ciò, per offrire un servizio migliore di prevenzione, cura e prevenzione delle sequele al malato.

 


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